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Ben più che un compito, la carità è un orizzonte di senso

Tra i miei ‘compiti’ c’è anche quello di raccogliere le fatiche e le delusioni che a volte accompagnano l’agire di chi con gratuità, all’ interno delle nostre comunità cristiane, mette al sevizio dei poveri i propri talenti, il tempo e le risorse…

…semplicemente condivido quanto di seguito…                                                                           

BEN PIÙ CHE UN COMPITO, LA CARITÀ È UN ORIZZONTE DI SENSO.

È la carità di Cristo e nessun altro interesse o scopo che spinge i cristiani ad aiutare il prossimo. Può essere scontato – ma non sempre è chiara questa consapevolezza – che per noi cristiani l’insegnamento evangelico dell’amore al prossimo è inequivocabile e inderogabile, capovolgendo ogni nostra presunta motivazione altruistica e buonista, magari sotto la spinta moralista di dover fare del bene.

Per evitare questa “deriva”, è importante recuperare la riflessione che ricerchi le ragioni, le radici, le motivazioni per cui per un battezzato è connaturale lo stile della carità. È la carità di Cristo che ci spinge (2 Cor 5,14), ci muove ma dal di dentro, è la persona stessa di Cristo e non solo il suo stile che ci appartiene come missione ad operare per una umanità dignitosa, sviluppata e migliore.

Di fatto, alcune domande hanno bisogno di opportune risposte: perché portare alcuni alimenti in chiesa come gesto caritativo di quaresima? Perché accogliere, ospitare, integrare gli stranieri? Perché pensare e progettare una “casa della carità” in città? Per quali ragioni dobbiamo preoccuparci addirittura di cucinare per chi non ha da mangiare, offrendo loro un servizio di mensa? Qual è il motivo per cui dobbiamo intervenire per prevenire il grave disagio giovanile o sostenere chi è schiacciato dalle ‘dipendenze’? (forse stimolati da Gesù che è venuto perché abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza (Gv 10,10), nella sua bellezza e pienezza?!?!).  Perché soccorrere chiunque si trova in stato di necessità? Perché fare gesti di generosità o impegnarsi nel volontariato sociale? Nella loro apparente “banalità” sono domande che sollecitano la consapevolezza della Caritas, dei cristiani e della Chiesa intera a riscoprire la radice di questi comportamenti; e la radice non può che essere ancora una volta quella del Vangelo. Infatti, abbiamo il compito di un autentico ascolto della realtà sociale alla luce della Parola di Dio; per noi credenti la vita in genere, e in particolare l’agire caritativo, non può mai essere disgiunto dalla Parola di Dio, da una risposta radicata nella fede.

Ciò corrisponde al bisogno di essere una “Chiesa sinodale” dove le domande intorno a cui ci si interroga e si cerca di rispondere insieme sinergicamente sono: Come si cerca Dio insieme? Come si distingue la sua voce? Come gli si obbedisce? Come si organizza, con quali ruoli e in che tempi, una comunità che fa discernimento e arriva a decisioni concrete? Solo così -ritengo- si può arrivare ad una carità che per il singolo cristiano non è solo gesto estrinseco ed occasionale, e -inoltre- che sa dare forma associativa, istituzionale e persino “politica” alle dimensioni della giustizia, della cura, dello sviluppo umano integrale, della pace.

Ecco, dunque, il dovere di fugare ogni dubbio che la carità possa ridursi a qualche gesto sporadico o a buone intenzioni di stampo assistenzialista. Bisogna temere che la carità venga interpretata semplicemente come un “fare di più”, o compiere buoni gesti e ridurre la carità a una serie di iniziative a favore dei bisognosi.

L’orientamento pratico, attivo, concreto – assolutamente necessario per non dissolvere la solidarietà in puro ideologismo – della carità ha bisogno di essere accompagnato da un atteggiamento contemplativo e quindi dalla disponibilità a lasciarsi interpellare in maniera radicale dalla realtà illuminata dalla Parola di Dio. Altrimenti manca di radici e rischia di smarrirsi alla prima difficoltà, di cadere nell’autocompiacimento. 

La Sacra Scrittura -più che dirci cos’è la carità- preferisce piuttosto descrivere gli atteggiamenti che essa ispira, o narrarci esempi di carità vissuta come per esempio l’episodio del “buon Samaritano” , colui che ha saputo “farsi prossimo”. Da questo racconto emerge subito il carattere fondativo e personale della carità in un duplice senso: innanzi tutto chiama direttamente in causa la persona, la sua dedizione, il suo atteggiamento di gratuità e il suo spirito di compassione, in cui maturano le scelte operative e l’organizzazione dei servizi. Appare così che non è solo questione di risorse e strutture. In secondo luogo, la carità si orienta alla valorizzazione e alla promozione della dignità della persona. Il testo biblico, anche nella pagina del buon Samaritano, mette al centro dell’attenzione non l’oggetto, ma il soggetto che riceve l’azione caritativa e quello che la compie e ciò che lo anima ad andare al di là del “dovuto”.

Anche il buon samaritano ha dovuto fare i conti in tasca sua per vedere se poteva pagare l’albergatore che ospitava il bisognoso: ma i suoi conti in tasca li ha fatti dopo aver scandagliato il suo cuore e il suo orizzonte di senso.

La Parola di Dio e la voce della coscienza dentro di noi illuminano la coscienza morale e la fede, che in tal modo indicano le scelte e l’agire solidale concreto.

don Moreno