A pochi giorni dai Funerali del Papa emerito Benedetto XVI e dopo più di quindici anni dalla sua stesura ho ripreso tra le mani la prima Enciclica dello stesso Papa con la quale apriva il suo ministero petrino: “DEUS CARITAS EST”… mi permetto di condividere alcune riflessioni…
A pochi giorni dai Funerali del Papa emerito Benedetto XVI e dopo più di quindici anni dalla sua stesura ho ripreso tra le mani la prima Enciclica dello stesso Papa con la quale apriva il suo ministero petrino: “DEUS CARITAS EST”… mi permetto di condividere alcune riflessioni… Il primato della preghiera nell’amore cristiano pervade tutta la lettera. La preghiera è intesa come prima espressione indispensabile di tale amore e come fonte delle opere di carità. Nella prima parte dell’enciclica si sottolinea che l’amore di Dio e l’amore del prossimo sono un’unica realtà, di cui il primo aspetto costituisce la fonte, senza la quale l’amore per il prossimo si esaurisce. Ma egli non può vivere soltanto nell’amore oblativo e sempre donare. Deve anche ricevere, proprio per essere riempito dalla fonte originaria, che è il cuore di Cristo squarciato sulla croce, apice dell’amore di Dio per noi. Il Papa invitava tutti i cristiani ad andare al nucleo essenziale e irrinunciabile della fede cristiana. Nella seconda parte dell’enciclica si ribadisce la necessità e il primato della preghiera e della contemplazione nelle opere di carità dei cristiani. Il Papa partiva probabilmente dalla constatazione di un certo affanno e minore entusiasmo nelle opere di carità cristiana. Di fronte alla percezione della ingente necessità morale e corporale dell’umanità, Benedetto XVI richiamava tutti i cristiani a un rinnovato e più intenso impegno nelle opere di carità. Il Papa si sofferma sull’esercizio dell’amore da parte della Chiesa quale «Comunità d’amore» e si riferisce al criterio teologico della carità della Chiesa come manifestazione dell’amore trinitario: lo Spirito Santo muove gli uomini ad amare con il cuore, testimoniando l’amore del Padre. La tesi principale è che la carità si riferisce allo Spirito Santo che anima la vita della Chiesa perché la sottrae dalla tentazione di efficientismo e di pragmatismo. Lo Spirito Santo è il cuore divino della Chiesa perché sempre alimenta la dimensione di gratuità e di cura, di dedizione e di abbandono che caratterizza la storia della salvezza e che si mostra emblematicamente e singolarmente in Cristo. Questa tesi, poco più che accennata, trova subito applicazione negli approfondimenti pratici successivi. Il primo approfondimento applicativo è quello per cui la carità è compito della Chiesa. L’applicazione però non riguarda più l’amore di Dio, confinato alla presenza dello Spirito, ma l’amore del prossimo, definito come compito di ogni fedele e dell’intera comunità. Esso, pur esigendo organizzazione, ha come fine la comunione, perché la Chiesa è la famiglia di Dio nel mondo. Alla Chiesa compete anche l’organizzazione della carità (entriamo qui nel nostro specifico quotidiano) e quindi anche curarsi di un insieme di strutture di servizio. Per queste occorre: nuova conoscenza del mondo, nuova disponibilità universale, nuovi strumenti di solidarietà e la cura perché si facciano leggi per favorire la solidarietà; diversificate forme di volontariato e di aiuti organizzati, con la grande disponibilità dei giovani e con la scelta che la chiesa collabori nel servizio e nelle strutture di carità. l’offrire aiuto alle necessità immediate con persone competenti professionalmente, con dedizione e ricchezza di umanità, formazione del cuore e contatto con Dio, sorgente dell’amore; generosità non in funzione di proselitismo, sempre gratis, senza nascondersi dietro un dito, tanto più che spesso è proprio l’assenza di Dio la causa delle ingiustizie e delle povertà. Quello del primato della carità, della centralità dell’amore ricevuto e donato -lo possiamo dire con tranquillità- è il tema che unifica il magistero dei due Papi è. Tutto ciò non ha nulla di astratto. Infatti il bisogno di amore si concretizza nell’urgenza di giustizia, di solidarietà, di custodia del creato: sono questioni al centro dell’”Evangelii gaudium” il “manifesto” di Francesco ove si sottolinea come la gioia che consegue al sentirsi amati da Dio si debba tradurre nell’impegno per la giustizia sociale. Francesco parla di inclusione sociale dei poveri. È una tematica che gli sta fortemente a cuore, in cui vede come una concretizzazione dell’amore divino che il credente accoglie affidandosi al Dio vivo e lasciandosi amare da Lui. Chi vive l’amore di Dio, scrive nell’Esortazione apostolica, esce da sé con coraggio per annunciare a tutte le periferie, geografiche ed esistenziali, dell’umano la luce del Vangelo. Agisce così la Chiesa “in uscita” che tocca la carne sofferente di Cristo nel popolo. Francesco traduce in dense indicazioni pastorali il messaggio ispiratore della carità divina e della sua ricaduta nei rapporti sociali, che già Benedetto XVI aveva sviluppato nella “Deus caritas est”. don Moreno